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MEDIO ORIENTE, FOAD AODI: URGENTE LA CONVOCAZIONE DI UNA CONFERENZA INTERNAZIONALE di Martina Oddi

In Palestina continua l'escalation di violenza. Mentre a New York i grandi valutano misure di intervento attraverso la diplomazia.

La Palestina vive la sua terza Intifada, quella che, coltelli alla mano, vede in primo piano giovanissimi e donne, per la prima volta protagoniste di una lotta lunga e dolorosa, come l'ha definita il capo del Governo Palestinese. Un conflitto che è espressione della reazione violenta alla politica coercitiva di occupazione esercitata da 500 coloni israeliani, occupanti sul suolo della Cisgiordania. Solo le briciole della loro terra ai duemila palestinesi che dai tempi della seconda guerra mondiale l'hanno persa per questione di spartizioni belliche. Se il monte Sion rappresenta il miraggio di un popolo destinato a non avere pace, anche gli ebrei sono estenuati da una guerra infinita fatta di rastrellamenti, attacchi, terrorismo che ha macchiato la Terra Santa con il sangue di tutti. L'occupazione dei coloni israeliani e la violenza degli attacchi di reazione al sopruso subito dagli arabi, quello di essere stranieri sulla propria terra, circondati nel loro non stato, definiscono i termini di uno scontro che le diplomazie non hanno saputo, o voluto, sanare dal quel lontano 1946.


1. Dopo la seconda guerra mondiale i Palestinesi hanno perso la Palestina. Come è possibile che da allora si siano susseguiti gli scontri senza che le diplomazie mondiali abbiano indicato una strada per la soluzione?

È possibile perché gli scenari politici a livello internazionale sono cambiati, la diplomazia americana dopo l'Iraq e l'Afganistan ha cambiato la sua posizione, influenzata dai diversi equilibri con la Russia, meno presente di prima nel mondo arabo. Una gran parte la giocano poi le divisioni continue tra ebrei e palestinesi, in un  conflitto che nel tempo è diventato sempre più duro e serrato.

2. La Road Map, con le intese siglate da Clinton tra i arabi e ebrei, aveva segnato una svolta e fatto tirare al mondo un sospiro di sollievo. Perché la tregua è finita?

La stretta di mano tra Arafat è Rabin è stata l'espressione più alta del processo di pace patrocinato allora dagli USA. Secondo me dopo che hanno ucciso Rabin, e dopo che per la prima volta un Presidente ebreo veniva assassinato da un altro ebreo, hanno trovato forza e vigore gli estremismi che si oppongono al processo di pace. Con il conseguente isolamento della questione palestinese sul tavolo della diplomazia. Il processo di pace giova sia al popolo israeliano che a quello palestinese: due stati e due popoli, una visione che garantisce la sicurezza di tutti. Ma lo stato indipendente palestinese ne è una conditio sine qua non. La svolta dopo il tentativo di Arafat e Rabin, il punto più alto di speranza, è stata negativa e poi la Primavera Araba ha distolto completamente l'attenzione dalla questione palestinese.

3. Quali sono gli schieramenti sullo scacchiere? Cosa si sta decidendo a New York al consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite?

Sono solo tentavi, quando purtroppo la situazione è molto peggiorata, e la speranza che si possa ottenere qualcosa da palestinesi e ebrei è uguale a zero. Non si può più rimandare la convocazione di una conferenza internazionale, è l'ONU non può più evitare la sua assunzione di responsabilità attraverso un ruolo attivo. Occorre coinvolgere tutte le parti interessate, compreso l'Egitto e l'Arabia: sanare il conflitto è possibile creando due stati e per due popoli, ma anche risolvendo le questioni aperte, quella siriana, in primis. Occorre riconoscere un ruolo importante all'Egitto e ricomporre le divisioni palestinesi. Dando vita a un governo di unità nazionale, evitando di dare ancora l'impressione che i palestinesi sono divisi. Unità forte dei palestinesi, una voce unitaria in Israele, escludendo gli estremismi e evitando le provocazioni come quelle di entrare nelle moschee, perché come il Vaticano, i luoghi di culto sono espressione della Religione che è rispetto e pace.

4. L'Italia ha sempre giocato, dagli anni 70, un ruolo chiave di intermediazione per favorire il dialogo. Può svolgere ancora un ruolo determinante e come?

Non bisogna prendere le parti dell'uno o dell'altro ma lavorare ma per la pace e il dialogo: la soluzione passa per la creazione di due stati, in pace, come ha dichiarato Papa Francesco nel suo discorso pronunciato davanti Abu Mazen e Simon Perez. La pace è l'unica strada percorribile. Ringrazio il Ministro Gentiloni e il Sottosegretario Gozzi, così come il Presidente Renzi per l'impegno costante nel trovare soluzioni. Le visite in Egitto e Tunisia dimostrano la volontà di dialogare con tutti e due: le frazioni religiose sobillano la violenza e vanno eliminate le vendette che esse scatenano. Il Governo Italiano sta facendo bene sul tema dell'immigrazione e come Presidente CoMai e Focal Point delle Nazioni Unite lo ringrazio per il lavoro fatto, ma bisogna fare di più: l'Italia può essere uno stimolo per la comunità europea.

5. Come la Pace in Palestina potrebbe sedare i conflitti in Medio Oriente e porre fine alla logica del terrore dell'Isis?

Da quando non c'è una soluzione per la Palestina, la questione palestinese è stata sempre  usata dagli estremisti di turno, nati a causa delle carenze della diplomazia, come Al Qaeda, e come l'Isis. Sulla questione della Palestina, devono decidere del futuro gli ebrei, i palestinesi e l'ONU, che deve tornare a svolgere un ruolo di coordinatore per le azioni di pace e di dialogo. Nessun estremista è legittimato a usare la Palestina, al Libia e la Siria per fini che sono alla fine economici e di potere personale, mossi dall'unico intento di plagiare i giovani.

6. Al di là delle scelte della politica, come può la comunità internazionale sostenere il processo di pace? Quali azioni sono possibili ancora per favorire il dialogo, nel quotidiano?

Sicuramente a Gerusalemme servono adesso aiuti sanitari e umanitari che noi abbiamo fatto pervenire ai soccorritori arabi: manca tutto, i palestinesi soffrono da anni un'emergenza sanitaria e umanitaria, ma ora la situazione è gravissima e occorrono  aiuti immediati per i bambini, gli anziani, le donne. Lancio un appello affinché vengano inviati aiuti alla popolazione, per ridurre la rabbia dovuta alla sofferenza della gente. Insieme a una informazione giusta e corretta per non aumentare pregiudizi e favorire la soluzione pacifica.


Ogni popolo ha diritto al suo stato, su cui è sovrano. Il limpido assunto fondamento del diritto internazionale sfuma sotto la caligine dei lacrimogeni dei soldati israeliani e diventa il vessillo di sangue di tanti giovani palestinesi che non accettano, oggi come ieri, di esserne esclusi. Ma dopo tanta sofferenza, è arrivato il tempo di dare una chance alla pace.

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